In alcuni settori, lo Smart Selling sembra di difficile, se non impossibile applicazione; in particolare, in quei settori che richiedono la presentazione di prodotti fisici.
Che sia un campionario di tessuti, un mezzo di trasporto (dello Smart Selling nell’Automotive si è parlato anche qui) o la vendita di una casa, oppure un sopralluogo per una location per un evento (aziendale, ma anche per un matrimonio), o ancora la dimostrazione di un device medicale, spesso vedere è necessario, per comprare – una sorta di inversione del classico “pagare moneta, vedere cammello”.
In alcuni settori questa “fisicità esclusiva” è già stata in parte bypassata – si pensi al vestiario o alle calzature, sempre più acquistati online, grazie alla possibilità di rendere gratuitamente il prodotto, in caso di insoddisfazione, partendo però da un processo storicamente molto “visivo” (o, addirittura, polisensoriale).
I settori citati per primi dovrebbero prendere come storia cautelare quella del fashion. Se oggi acquistiamo scarpe artigianali online senza vederle o indossarle, potrebbe capitare lo stesso all’auto? Alla casa? O, post-Covid, dobbiamo accettare di avere semplicemente un traffico inferiore in salone? O fare il tour della casa con tre strati di mascherine addosso? Ed anche senza il Covid di mezzo: perché non andare incontro ai clienti per un primo giro di una location per un meeting a 400 km di distanza, senza dover prevedere trasferte o semplici siti con gallerie fotografiche?
Se vogliamo, la logica sottostante è ben riassunta dal detto apocrifo: “se la montagna non viene a Maometto, allora Maometto va alla montagna”, solo che in questo frangente, Maometto deve garantire il distanziamento sociale dalla montagna (il cliente), che si è comodamente abituata a fare conference call con i suoi fornitori, per cui incontrarsi in digitale è l’unica strada sostenibile.
Questo significa che come commerciali possiamo pensare ad un modo di garantire al cliente un’esperienza efficace, senza obbligarlo a venire fisicamente da noi.
Non è certo un obbligo: è chiaro che vendere un’auto dal vivo ed avere il cliente che tocca la pelle della selleria è preferibile, perché l’esperienza sinestesica è migliore rispetto a quella mediata da uno schermo. Ancor di più, prima di scegliere una casa è evidente che la totalità o quasi dei clienti continuerà a volerla vedere dal vivo.
Ma offrire al cliente una prima impressione digitale del bene fisico oggetto della vendita è un servizio importante, in un’epoca di distanziamento sociale e, soprattutto, altamente differenziante, perché consente di ampliare le opzioni e la fase di ricerca, anche a fronte di potenziali restrizioni.
Alcuni clienti apprezzeranno molto l’inventiva dell’agente immobiliare che gli comunichi un link di Hangouts per fare il tour via cellulare e lo considereranno un bel pensiero. Magari sceglieranno di non avvalersene: ma la proposta verrà comunque apprezzata, perché dimostra empatia nei confronti delle loro preoccupazioni. Oppure se ne avvarranno anche se magari quell’annuncio l’avrebbero scartato; e da quella call può nascere una consulenza, la proposta di visionare un immobile diverso, o magari un interesse che dalle foto era più moderato.
Mostrare oggetti fisici da remoto
Data l’importanza che l’esperienza del prodotto fisico ha, in questi processi di acquisto, nel momento in cui scegliamo di renderla digitale, dobbiamo dare speciale attenzione a questo momento.
Se in Smart Selling è importante la preparazione sugli aspetti tecnologici, in questo caso lo è ancora di più: il cellulare deve essere carico, dobbiamo verificare di avere un buon segnale Wi-Fi o di rete mobile, ma soprattutto è necessario dotarsi di un cellulare con fotocamere full HD, sia frontale che posteriore. Far sperimentare al cliente la qualità degli interni in pelle di un’auto di alta gamma con una fotocamera di scarsa qualità non è solo inutile: è controproducente. Per fortuna, cellulari con fotocamere ad altissima qualità si trovano anche sotto i 200€, per cui oggi questo è molto più fattibile di una volta. Ricordandosi di avere un panno antistatico per pulire gli obiettivi, che come le già citate mentine è un accessorio “salvavita”: evitiamo di fare evento una demo statica di un’auto con l’obiettivo appannato da un’impronta digitale o dal fondotinta (non se ne cruccino le signore, ma accade).
Data l’importanza dell’immagine, se vogliamo migliorare il livello di esperienza digitale, possiamo dotarci di piccole luci a LED da attaccare al cellulare, in modo da non dover dipendere dal solo flash. Questo non è un vezzo da influencer: mostrare una casa che potrebbe non avere le utenze attive e, di conseguenza, non avere condizioni di illuminazioni efficaci, ha poco senso. Analogamente, gli interni dell’auto si apprezzano meglio se ben illuminati. In alternativa, la luce del flash darà già un incremento di luminosità, anche se spesso non sufficiente.
Un accessorio ancor più fondamentale, però, è un piccolo treppiede per smartphone, che consenta sia di appoggiare il telefono in una posizione comoda per parlare alla scrivania, se necessario, sia che consenta di fungere da supporto per la dimostrazione del prodotto. Alcuni modelli addirittura includono uno stabilizzatore, fondamentale nel caso bisogni spostarsi molto, come ad esempio in una casa o location per un evento o un matrimonio.
Quale che sia la piattaforma digitale che usiamo per le video conference, l’applicazione da cellulare deve essere in grado di cambiare agevolmente fra fotocamera principale e modalità selfie, in quanto si passerà da quella frontale quando parliamo al cliente, a quella posteriore nel mostrare i dettagli del prodotto che stiamo illustrando. In questo senso, i vari software mobile sono molto più agili delle piattaforme di videoconference più B2B come Webex o GoToMeeting, pensate più per le riunioni con webcam che per le videochiamate da cellulare. Zoom lo consente in facilità, così come Google Meet.
Come in una videoconference da pc, l’uso delle cuffie aiuta molto – in questo, non solo a ridurre il rimbombo, tipico di ambienti grandi e vuoti come una concessionaria, una casa non arredata o una sala conferenze non allestita, quanto più a mantenere microfono ed auricolari vicini a noi, anziché “dipendere” dalla posizione del telefono. Gli auricolari Bluetooth, in questo, hanno una marcia in più proprio perché svincolano ancor di più i movimenti, rimuovendo il filo.
Va adattata anche la comunicazione, in questo caso. Innanzitutto, il cliente non ci vede. Probabilmente nello schermo siamo un piccolo rettangolino nell’angolo; la visuale sarà tutta occupata dall’inquadratura. Noi, invece, dobbiamo cercare di vedere il cliente. Questo significa, se lo strumento lo consente, di avere attiva non la visualizzazione della nostra telecamera, ma quella del cliente e parlare guardandone le reazioni. Questo è fattibile anche solo con la videochiamata di WhatsApp, che consente di scambiare lo schermo in primo piano, fra quanto ripreso dal cliente e quanto ripreso da noi. Privilegiamo sempre la visione del cliente, per cogliere elementi importanti della comunicazione.
Il cliente che storce il naso quando entriamo in cucina o che fa una smorfia di soddisfazione nel momento in cui vede l’allestimento della sala conferenze, ci sta dando indicazioni preziosissime: che qualcosa è o non è di suo gradimento. Perdere questi elementi significherebbe ridurre di molto la nostra empatia nei suoi confronti. Al contrario, notarlo ed approfondire è un segno di ascolto eccezionale e ci darà la possibilità di anticipare – anche di molto – obiezioni che sicuramente ostacoleranno la trattativa, in seguito.
“Ho visto che ha fatto una faccia, quando siamo entrati in cucina… cosa non la convince?”
Un approfondimento anche solo di questo tipo ci consente di acquisire informazioni centrali alla trattativa ed è possibile solo non perdendo mai il contatto oculare con il cliente.
Non solo: chiediamo spesso al cliente le sue opinioni, perché in digitale potrebbe essere più reticente. Nella demo statica dell’auto, prima di spostarci da una posizione all’altra, potremmo chiedere che impressione si sia fatto o se abbia avuto modo di vedere i dettagli che gli interessano. Così, saremo in grado di focalizzarci sugli elementi di maggiore attrattiva.
Collegare lo Smartphone come “seconda camera”
Usare la webcam integrata ad un laptop per mostrare un oggetto fisico non è molto efficace: sgrana, la qualità è bassa e se dobbiamo mostrare un oggetto di una certa dimensione, non saremo in grado di farlo. D’altra parte, l’alternativa di usare una webcam esterna e spostarla rischia di dare il mal di mare al cliente o medico.
Collegando come seconda camera il cellulare riusciamo invece a massimizzare l’efficacia. Per farlo, però, c’è bisogno di un po’ di manualità: consigliamo di farlo solo dopo alcune prove!
Clicca sul link di accesso alla conference call anche da smartphone, per entrare con il doppio device.
Attenzione a non abilitare né l’audio, né il microfono dello Smartphone, per evitare l’effetto Larsen, il “feedback” sonoro che risulta nel fastidiosissimo “fischio”. Puoi lasciare disabilitata la telecamera dello smartphone, all’inizio.
Quando arriverai al punto in cui devi presentare il prodotto, sblocca la telecamera dello smartphone e metti, da PC, in evidenza per tutti il video. Ogni software ha il suo modo: clicca destro sulla miniatura, ad esempio su Zoom o Teams, per mettere il video in evidenza per tutti (non fissarlo solo per te!)
A questo punto, puoi usare lo smartphone come la tua telecamera secondaria.
Vuoi una soluzione più semplice? Una telecamera stazionaria per documenti o una seconda webcam esterna possono aiutare a non dover spostare quella principale, ma si incorre in un costo aggiuntivo. La semplicità, però, è evidente: anziché giri arzigogolati, è sufficiente cambiare webcam fra le opzioni, per passare da una all’altra.
I movimenti di camera, poi, devono essere lenti e progressivi. L’acquisto di un treppiede con stabilizzatore può aiutare ad evitare gli scatti dati dal movimento fisiologico, ma anche senza questa finezza, utile più che altro nel caso di spostamenti fisici da un luogo all’altro, in ogni caso dobbiamo porre particolare attenzione a fare spostamenti di camera quasi innaturalmente lenti. Se useremo i redivivi Google Glass, ad esempio, dovremo fare attenzione a muovere con lentezza il capo. Per il cliente, che guarda dal suo PC o smartphone, è l’unico modo per apprezzare la visuale senza dover ricorrere ad una dose emergenziale di antiemetici. Mal di mare a parte, spostare in modo troppo rapido l’inquadratura rende l’esperienza vacua, perché il cliente non avrà avuto tempo e modo di apprezzare ciò che gli stiamo mostrando. Se stiamo mostrando una collezione di abiti, ad esempio, non riuscirà a vederli tutti, ma solo macchie di colore indistinte, se vogliamo mostrare il dettaglio di un device medico, è importante che diamo tempo alla camera di prendere il fuoco sul dettaglio: spostare l’inquadratura troppo rapidamente non lo renderà possibile.
A livello verbale, invece, dobbiamo descrivere ogni elemento che scegliamo di mostrare, per non lasciare mai inquadrature vuote, mute. Se inquadriamo i fari proiettori anteriori dell’auto, parliamo di quelli, descriviamone le linee o la tecnologia o qualunque altro elemento sia rilevante per il cliente. Non inquadriamo e basta. Se mostriamo un abito su un manichino, raccontiamo i particolari avvicinandoci ad essi, in modo da completare il quadro d’insieme per il cliente. In alternativa, possiamo far parlare il cliente con una domanda proprio legata a ciò che stiamo inquadrando, in modo da avere un riscontro specifico.
Questa modalità di gestione della presentazione del prodotto fisico va considerata anche alla luce di una serie di evoluzioni nello scenario tecnologico avvenuti proprio a valle del Lockdown. Le Live Sales di Facebook, annunciate proprio in periodo di pandemia, così come Shoploop di Google, hanno rappresentato una forte spinta in questa direzione, che anziché lavorare sulla vendita one-to-one, si concentrano nella modalità one-to-few, cioè di ingaggio con un ampio numero di clienti e follower.
Un’ulteriore evoluzione di questa modalità è stata sperimentata da alcune marche nel fashion, come Piquadro, che hanno riscoperto l’uso dei Google Glass, grazie ad un’integrazione con il software di videoconferenze – tutto italiano e dalla facilissima integrabilità – di Bandyer. Se anziché immaginare di inquadrare l’automobile o l’abito tramite uno smartphone, lo pensiamo tramite Google Glass, l’esperienza risulta facilitata, perché il commerciale ha il pieno controllo delle mani e non è vincolato all’inquadratura con il cellulare. Resta il nodo di come vedere il cliente (proiettato nello schermo del Glass? Oppure restiamo vincolati ad un secondo schermo?) e di come fare ad essere visti dal cliente, ma l’evoluzione in questa direzione è promettente, sperimentale ma di sicuro impatto almeno per i first mover.